«Ragioniamo quindi su questa iniziativa anti-svizzera per evitare uno tsunami che minaccia le radio-tv».
Il virgolettato è frutto di un assemblaggio di tre titoli di altrettanti articoli sull’iniziativa «No Billag», apparsi recentemente nella nostra stampa quotidiana: «Un’iniziativa profondamente anti-svizzera» (Mauro Baranzini, GdP, 15.12.2017), «No Billag, cerchiamo di ragionare» (Claudio Mésoniat, GdP 29.12.2017), «Lo tsunami che minaccia le radio-tv» (Fabio Pontiggia, CdT, 2.1.2018).
Pontiggia, Baranzini e Mésoniat con le loro posizioni ideologico-politiche potranno piacere o non piacere, ma nello specifico è innegabile che si tratta di tre personalità di notevole esperienza, che conoscono bene il nostro Paese, la sua economia e il suo sistema dei media. E inoltre rappresentano una sensibilità politica che va da un centrodestra economico liberale a un centrosinistra socialdemocratico, passando per un centro cattolico.
Mancano gli estremi, d’accordo, ma è proprio l’estremismo dell’iniziativa «No Billag» che qualsiasi cittadino svizzero ragionevole non può che respingere. Ovviamente il cittadino ragionevole, per una posta in gioco di tale livello dovrebbe dedicare un po’ di tempo ad approfondire la questione, ascoltando tante campane e soprattutto chi la pensa diversamente.
Nulla di peggio di questi tempi che parlarsi addosso in continuazione fra «convertiti» rincuorandosi a vicenda, sul modello delle ben note «eco chambers», «bolle comunicative» autoreferenziali e falsamente rassicuranti. Quindi anche la SSR e i contrari alla «No Billag» devono chiedersi (e chiedere!) perché si è arrivati a questo drammatico punto di possibile non ritorno. In particolare occorre entrare nel merito in maniera articolata nei confronti di tutte quelle ricorrenti accuse di spreco e di favoritismi di varia natura, che il servizio pubblico non può ignorare. Oltretutto il tema di un servizio pubblico che deve rinnovarsi in relazione a tante nuove diete mediatiche, soprattutto dei giovani ma non solo, è qui per restare. Ma se il tema resta e si sopprime il servizio pubblico, è inevitabile che ad avere la meglio saranno ricchi gruppi privati e soprattutto i predatori globali della rete, che del servizio pubblico se ne infischiano.
Lo scorso anno per la prima volta la pubblicità online nel mondo ha superato, seppur di poco (ma il distacco è destinato ad aumentare) gli introiti della pubblicità televisiva. Dei circa 200 miliardi in gioco, più della metà è andata a Facebook e a Google, che da solo detiene quasi la metà di questa cifra mirabolante: i dati consolidati del 2016 danno 80 miliardi a Google e 27 a Facebook.
Si tratta quindi di 107 miliardi di dollari, il che equivale a moltiplicare per circa 450 volte gli introiti pubblicitari di tutta la SSR nel 2016: per l’esattezza sono 230,5 milioni, a fronte di un canone che nel 2016 ha generato in Svizzera 1.217,9 milioni. Sempre nel 2016 la RSI ha potuto disporre di 265 milioni, ovvero il 22% della «torta SSR», mentre il canone incassato nella nostra regione è ammontato a 45 milioni.
C’è davvero chi da noi è disposto a rinunciare a più di 200 milioni per l’economia e la cultura locale, per «dare una lezione» a «quelli della SSR/RSI» (sperando magari che l’iniziativa venga bocciata di misura...)? Il pericolo di un atto autolesionista, unico al mondo, è grave: potenzialmente, da masochista locale a zimbello globale, a rischio di essere presi in giro da qualche minoranza di chissà dove, di certo meno fortunata di noi!
Il gigante monopolista Google parla angloamericano e non sarà certo la traduzione automatica o qualche algoritmo ben pensato a far sì che la democrazia e il plurilinguismo svizzero possano beneficiarne. Solo votando no alla «No Billag» potremo preservare uno degli esempi più significativi di federalismo solidale rimastoci, grazie al quale in Svizzera, a prescindere dalla lingua nazionale di riferimento, ogni cittadino è uguale di fronte ai media.
Articolo apparso sul Corriere del Ticino del 22 gennaio 2018.